Intervista The Glorious Mothers
La grande sfida delle artiste madri. Intervista al gruppo The Glorious Mother
SONO DISCRIMINATE DAL SISTEMA DELL’ARTE LE ARTISTE CHE HANNO AVUTO FIGLI? SECONDO IL GRUPPO THE GLORIOUS MOTHER SÌ. L’INTERVISTA
Nato durante il primo lockdown con l’obiettivo di riflettere sul tema della genitorialità e sulle sfide che ogni giorno affronta una mamma artista per portare avanti il proprio lavoro, il gruppo The Glorious Mother è composto da una compagine serrata di artiste trenta-quarantenni residenti in tutta Italia, che ha avviato un percorso per confrontarsi insieme sui problemi e le soluzioni da attivare in questo ambito. Percorso aperto a tutti, anche agli uomini. Ne abbiamo parlato con loro in questa intervista.
Che cos’è The Glorious Mother? Con quali premesse nasce?
The Glorious Mothers è un gruppo aperto di discussione e confronto sul tema della maternità nell’ambito delle arti visive, nato informalmente durante il primo lockdown come supporto e confronto tra madri artiste, chiuse in casa con l3 figl3 e con difficoltà a riprendere il lavoro. Successivamente si è costituito come gruppo di discussione e confronto sull’esperienza genitoriale estesa alla ricerca artistica, cercando di andare oltre stereotipi, canoni precostituiti, pregiudizi e preconcetti legati all’istituzione familiare etero normata.
Chi sono le protagoniste di questa storia e che profili hanno?
Siamo un gruppo di artiste, principalmente visive ma ognuna di noi utilizza i mezzi espressivi che trova adeguati alla propria pratica, anche molto diversi tra loro.
Attualmente il gruppo è composto da Sara Basta, Cristina Cusani, Grossi Maglioni (Francesca Grossi e Vera Maglioni) Mariana Ferratto, Caterina Pecchioli, Jonida Prifti, Dafne Salis e Miriam Secco. Il background di provenienza, come anche l’area di pertinenza geografica, sono molto vasti: da Varese fino a Napoli, il gruppo è composto da artiste più attive con mostre in Italia e all’estero (vincitrici, per esempio, dei bandi Italian Council), ad artiste con una carriera appena avviata e poi interrotta per maternità o in lenta ripresa tra lavori saltuari (ma necessari) e vicissitudini personali legate alle difficoltà di crescere l3 figli3, in alcuni casi da sole. Nonostante ci occupiamo principalmente delle artiste madri e delle discriminazioni che viviamo nel sistema dell’arte visiva riteniamo che certi argomenti siano comuni anche ad altri settori o a chi non è genitore, per questo il nostro è un gruppo aperto ad accogliere chiunque si senta affine alla nostra causa.
Quale è la vostra esperienza di donne, madri e artiste? Vi sentite sostenute dal sistema dell’arte?
Nel diventare madri, ognuna con il proprio vissuto, ci siamo rese conto di come questa nuova condizione abbia implicato l’allontanamento dal mondo dell’arte.
Siamo state discriminate nel momento in cui non abbiamo potuto o non abbiamo voluto rispondere alla richiesta costante di produttività e presenza implicita nel mondo professionale. La maternità intesa come desiderio di cura, non solo nei confronti de3 nostr3 figl3 ma di tutte le nostre relazioni, ci impone di non ascoltare i canti delle sirene sulla produttività ad ogni costo, magari a discapito delle comunità di cui facciamo parte. Questa scelta, a volte anche dolorosa, di non partecipare a tutto il partecipabile, dal mondo dell’arte viene percepita come mancanza, invece che come atto politico consapevole.
Da cosa vi siete sentite escluse?
Ad esempio, dalle residenze per artist3 che non prevedono la presenza di famigliari, i nostri curriculum vengono interpretati come carenti e non performativi nei momenti in cui ci siamo fermate per dedicarci alla cura e questo ci penalizza anche nella partecipazione a concorsi che prevedono limiti di età. I tempi e gli spazi di esposizioni, fiere, musei, escludono le necessità contingenti alla cura dell3 figl3: a partire dagli orari serali delle inaugurazioni, alla mancanza del fasciatoio in bagno, mancano strumenti, spazi e persone dedicate alla cura de3 bambin3 durante la visita alle mostre.
La ricercatrice Hattie Judah nella brillante ricerca How not to exclude Artists Parents’ ha delineato chiaramente le difficoltà dei genitori artisti alla partecipazione attiva della vita professionale, per mancanza di strutture e di fondi. http://www.artist-parents.com/
Cosa implica oggi per una donna e artista da un punto di vista pratico affrontare una maternità?
Un’artista donna affronta la maternità in una totale solitudine. Dato che nel nostro settore non esiste alcun riconoscimento economico o indennizzo, può fare affidamento solo sulle proprie forze e sulla capacità di autosostenersi.
Naturalmente il problema è a monte: non esiste ad oggi un codice ATECO corrispondente all’artist3 visiv3. L’associazione AWI (Art Workers Italia), che si occupa di sostenere i lavoratori del settore e con la quale siamo in attivo dialogo, sta cercando la forma corretta per una partita iva che si adatti alle reali attività di artist3 e lavorator3 del settore.
Quindi, nello specifico?
Enti, musei e gallerie spesso lavorano con artist3 senza stipulare contratti, oppure quando vengono stipulati risultano inadeguati perché tendono a tutelare le opere invece de3 lavorator3. La mancanza di contratti e di un inquadramento fiscale unico genera problematiche, negando di fatto ogni assistenza o tutela. L3 artist3 non hanno malattia, disoccupazione/intermittenza o pensione e men che meno congedi di maternità o paternità.
Come artiste e donne vi manca di più un supporto pratico o un riconoscimento reale da parte del settore?
Come artiste/donne/madri possiamo dire che ci mancano entrambe le cose, le due questioni vanno a braccetto.
Di fatto, finché la soggettività della donna non sarà pienamente legittimata, sarà difficile riconoscerle il valore reale. Inoltre, finché la nostra società non affronterà una rivoluzione culturale rispetto alla questione della cura, riconoscendone non solo le ricadute all’interno del sistema sociale e comunitario, ma anche riconoscendo un valore economico (sostegno/tutela) per chi se ne fa carico (uomini e donne) l’emancipazione femminile sarà sempre parziale.
Cosa vi sembra che manchi?
Come dicevamo, in Italia, ci sono pochissime garanzie ed opportunità per l3 artist3, questo tende a creare un’atmosfera instabile e a volte poco collaborativa. Le difficoltà aumentano quindi nel momento in cui un3 artist3 diviene genitore perché il mondo dell’arte non è pronto a sostenere il lavoro di cura. Per esempio, ci è capitato che in caso di residenze e mostre, le istituzioni ospitanti si siano rifiutate di prendere in carico le spese dei nostri familiari, portandoci quindi a scegliere tra rinunciare o sostenere di tasca nostra queste spese. (In questo modo aumentando la discriminazione tra chi parte da una situazione economicamente avvantaggiata e chi no). Da quando abbiamo iniziato a portare avanti le nostre istanze nel 2020 qualcosa è cambiato: l’Italian Council ha inserito le spese per figl3 fino ai 6 anni a carico nel bando del premio, ma resta ancora molto da fare!
Credete che i vostri colleghi uomini abbiano gli stessi problemi? O altri? Vi confrontate con loro a riguardo?
Sicuramente i nostri colleghi padri hanno delle difficoltà simili alle nostre nel momento in cui affrontano l’accudimento in maniera primaria o pienamente condivisa. Ma nella maggioranza dei casi, la cura è ancora delegata principalmente alla figura materna.
In questi anni di incontri e lavoro, manifestazioni, laboratori insieme, la domanda ricorrente per molte di noi è stata se dovessimo essere aperte o meno come gruppo e in che modo confrontarci con un tema così delicato come quello della maternità in una prospettiva femminista. Nonostante la nostra volontà verso l’inclusione di “tutt3 coloro che si riconoscono come primar3 responsabili della cura de3 figl3” e di chi “non ha potuto o voluto averli come conseguenza della pressione lavorativa e sociale all’interno del sistema dell’arte”ci troviamo ad evidenziare il gender gap esistente. Inoltre, quando ci troviamo ad affrontare queste problematiche in pubblico la presenza cis-maschile è quasi nulla.
Quali azioni di sensibilizzazione si potrebbero attivare invece per risolvere le problematiche che affrontate ogni giorno? Di che cosa avreste bisogno?
Per quanto riguarda azioni di sensibilizzazione avere uno spazio su giornali dedicati all’arte è sicuramente un’opportunità importantissima per non essere invisibili. Per quanto riguarda le necessità, dovrebbero essere attivate delle buone pratiche che mettano in condizione di lavorare tutte le persone allo stesso modo. In Italia, come abbiamo accennato, dovremmo partire dal creare un sostegno generale agli artist3 sul modello francese ed olandese.
Ad esempio?
Dovrebbero essere istituiti studi con affitti agevolati, grant (come lo start stipendium olandese e il basic stipendium) perché gli artist3 nelle diverse fasi della loro carriera abbiano un minimo indispensabile da dedicare alla ricerca e produzione, da aumentare in determinate fasi, come la gravidanza o la genitorialità.
Quindi grant specifici per artisti genitori che considerino anche le spese legate alla cura dei filg3, spazi per bambini nelle ore di opening delle mostre, residenze d’artista che includano la presenza dell’altro genitore e de3 figl3, così come per le trasferte in occasione di mostre, studi con babysitting integrato. È necessario dare spazio a questi argomenti per trovare soluzioni che possano essere condivise con tutti gli attori del sistema dell’arte.
Santa Nastro