indivisa interezza
Red Lab Gallery Lecce è lieta di annunciare la mostra indivisa interezza di Chiara Arturo e Cristina Cusani, curata da Giovanna Gammarota, presso il proprio spazio salentino.
Attraverso 14 dittici e un’installazione site specific, la mostra racconta il cammino che ha condotto le due autrici lungo un tragitto divenuto testimonianza del crescente saldarsi di un connubio artistico che ha impresso via via alle opere realizzate nuovi orizzonti e nuovi significati. Lungi infatti dall’essere semplicemente la raffigurazione di una serie di similitudini formali, le immagini di Arturo e Cusani si affermano invece come atti di un dialogo interiore che, ne siamo certi, non si arresta con questa esposizione.
«Dobbiamo imparare a osservare qualsiasi cosa
come parte di un’Indivisa Interezza»
(da: Wholeness and the Implicate Order, David Bohm, fisico)
Con il termine indiviso indichiamo il ‘tutto’, ‘l’intero’ e, in qualche misura, anche il ‘compiuto’, in greco antico si direbbe ὀλός ovvero tutto come intero, diversamente da παν (pan) che significa tutto come molteplicità, insieme di parti. Se posto in relazione con l’Universo il concetto è immediatamente comprensibile in quanto oltre alla teoria scientifica che lo considera un insieme, seppure espanso a seguito del Big Bang, ad esso sono associati anche significati filosofici e spirituali che ne evidenziano ancor più la dimensione di unicità. L’Universo è un Unico composto da una quantità indefinita di elementi differenti tra loro ma originati dalla stessa energia primordiale ovvero quel che esisteva nell’istante zero situato un attimo prima dell’esplosione, una sola forza: l’Unico.
A tale unicità possiamo accostarci seguendo istintivamente quell’ordine implicito (implicate order) di cui il fisico statunitense David Bohm (1917-1992) parla nel suo testo “Universo, mente e materia” evidenziando come l’uomo fatichi a percepirlo poiché molto profondo, mentre percepisce chiaramente un secondo ordine esplicito (explicate order), che corrisponde al normale livello di esistenza. L’ordine implicito è espressione del flusso di energia che muove il cosmo, l’energia di cui noi e tutte le cose che ci circondano siamo fatti.
Questa premessa è fondamentale per comprendere il lavoro di Chiara Arturo e Cristina Cusani, indivisa interezza, qui presentato, l’unione di due autrici i cui mondi possiamo equiparare a due insiemi che nell’intersezione trovano una interezza altra indivisibile che crea una nuova dimensione o, potremmo meglio dire, che riconduce alla ”dimensione originaria” poiché qualcosa che è stato diviso si ricongiunge.
Ciò avviene grazie al percorso che ciascuna delle due autrici, partendo da punti differenti, fa convergere presso un limite che diviene comune, un solco che apparentemente le divide, un confine, una linea posta nel mezzo, che le induce a fermarsi, come sentinelle presso una soglia, ciascuna con la propria identità ma entrambe pronte a oltrepassare “il punto”. Il termine soglia indica infatti un punto preciso in cui avviene un passaggio che ci spinge oltre ma, contemporaneamente, indica anche l’arrivare stesso in quel punto [il percorso fatto]. Analogamente la parola limite indica anch’essa un punto preciso al quale si arriva e oltre il quale qualcosa cambia, proprio come nell’attraversamento del punto/soglia. In un caso vi è l’immissione in un altrove, nell’altro si rimane là dove non è possibile andare oltre a meno di non doverlo fare per necessità.
La vicinanza cui le autrici sottopongono le loro immagini non deve quindi illudere, non si tratta di una semplice similitudine visiva, puramente estetica, raffigura, invece, e racchiude in sé un’espressione che per Arturo e Cusani, nel corso della loro collaborazione, è diventata quasi un mantra: tutto il pericolo, tutta la salvezza[1]. A queste parole è legata la decisione di oltrepassare il confine che sta nel mezzo sapendo che tutto ciò che sta attorno a quella linea non le divide ma, al contrario, rappresenta piuttosto un punto di congiunzione.
Visti da questa prospettiva limite e confine appaiono dunque non come linee che separano gli individui, i popoli, le nazioni ma come ciò che sta nel mezzo, tra loro, qualcosa che unisce le diversità di due insiemi che si affacciano su quel punto; rappresentano l’indivisa totalità di cui parla David Bohm a proposito dell’Universo ma che è estensibile a ogni cosa, visibile e invisibile.
Questo approccio cambia completamente il modo di vedere un elemento molto presente concettualmente nel lavoro delle due autrici: quella striscia di mare, il Mediterraneo, che appare minuscola se vista dallo spazio al di fuori dell’atmosfera e al tempo stesso vastissima se invece ci si trova in mezzo a esso. Linea di confine che, nella comune concezione odierna, separa due continenti, due insiemi che da sempre, viceversa, si intersecano, si esplorano, si mescolano creando nuove dimensioni. Pertanto linea di unione.
I frammenti che le due autrici racchiudono nello spazio della cornice, parte integrante dell’opera in quanto realizzata in ferro verniciato che dalla parete sporge verso l’esterno – quasi a ricordare lo scafo di un’imbarcazione che contiene il suo “carico” – ci parlano di uno scambio, la somiglianza delle forme è immaginativa prima che visiva, evidenziano la natura “comune” quale elemento primario dell’essere. Attraverso gli accostamenti che Chiara Arturo e Cristina Cusani hanno disposto all’interno dei quattordici dittici che compongono la mostra emerge spontaneo il desiderio di stimolare lo spettatore a non fermarsi alla sola illusione retinica suggerendo invece di oltrepassare l’apparenza per immergersi in quell’ordine implicito descritto da Bohm. Un ordine che non si vede ma che imprime ad ogni cosa il suo proprio andare e arrivare per poi ripartire.
Il movimento degli individui è sempre dettato da una necessità, si muovono anche quando sembrano apparentemente stanziali. Possiamo dire che muoversi implica altrettanto necessariamente la condizione non eludibile di condividere le motivazioni di tale spostamento e le condizioni sono spesso disagevoli. Eppure l’individuo si muove. Nel farlo scopre che la propria esperienza non è unica, appartiene al flusso magmatico che determina le relazioni. Scendendo in profondità possiamo osservare quanto questo flusso renda simile, o per lo meno molto vicino, un individuo a un altro che crediamo essere totalmente diverso da noi.
È questa la similitudine, la vicinanza di cui parlano le immagini di Chiara Arturo e Cristina Cusani, una uguale diversitàcapace di esprimere ‘tutto il pericolo’ e ‘tutta la salvezza’ – si è salvi perché uguali in questa diversità che crediamo pericolosa. E non può esserci salvezza senza pericolo come non può esserci buio senza luce o bene senza sofferenza.
Vediamo dunque che le parole che accompagnano questo lavoro – limite, confine, vicinanza, salvezza, pericolo, bene, sofferenza – assumono di volta in volta il senso che le immagini evocano incedendo in un continuo andare e tornare come onde che si infrangono, ora con violenza ora con dolcezza, sul nostro corpo che, ritto dinanzi a esse, le osserva. Pronunciarle non ha più lo stesso significato che comunemente si attribuisce loro, forse non bastano più e rimane soltanto il “suono” che l’osservazione mantrica fa ascoltare a chi guarda.
Il vero sentire è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, perché ciò avvenga occorre farsi trasportare da una corrente immaginale. Le autrici forniscono gli elementi primari, totalmente istintivi (e non può essere altrimenti), racchiusi in un concetto molto semplice che è quello di ritrovare la naturale ‘indivisa interezza’ che sta all’origine, ‘prima’ di ogni altra cosa immaginabile, prima che l’esplosione sopraggiungesse spezzettandola in infiniti rivoli. Una sorta di ricongiungimento che unisce i lembi di terra attraversati ridando vita all’Unico arcaico, dettato dal ‘principio’ di tutte le cose, che attira un popolo verso un altro. E il mantra “tutto il pericolo, tutta la salvezza” opera una fusione trasformando la ripetizione del gesto, quello di oltrepassare le linee di confine, di raggiungere il proprio limite, di dare pace alla sofferenza, in espressione del “sacro”.
La mostra è arricchita da una installazione che le autrici hanno appositamente pensato per lo spazio espositivo di Lecce, installazione che rende tangibile il percorso intellettuale ed emozionale che le ha accompagnate e tutt’ora le accompagna nella loro ricerca in costante dialogo e confronto con la diversità intesa come momento di arricchimento interiore di ogni individuo così come della collettività. Una testimonianza della possibilità di accettare e attraversare i propri limiti e i propri confini.
Giovanna Gammarota
Milano, marzo 2022
[1] Tratto dalla poesia “Giardini” di Umberto Fiori.