Questo è un progetto ancora in corso composto da una serie di opere che analizzano il rapporto tra estetica e coscienza critica. Al giorno d’oggi quando si parla delle tragedie del nostro tempo c’è un bombardamento di immagini atroci e la nostra reazione è sempre quella di allontanarci, di non voler vedere e quindi di non pensare a queste cose. Partendo dal significato originario della parola estetica – dal verbo αἰσθάνομαι, che significa “percepire attraverso la mediazione del senso”- il mio tentativo è quello di affrontare temi complessi e dolorosi attraverso l’utilizzo di immagini attraenti, innocue e rassicuranti. Assumendo quindi, che l’estetica indichi il processo di conoscenza attraverso l’uso dei sensi e che l’emozione derivante dalla bellezza rappresenti il primo passo dei processi del pensiero, l’intento di questo lavoro è dunque utilizzare l’estetica per attivare i processi del pensiero.
Al momento fanno parte di questo corpus quattro opere:
Il peso della leggerezza del 2017 (Opera vincitrice della Residenza Fondazione Bevilacqua La Masa, premio Smart Up Optima 2018)
Costellazione 15741 del 2018 (Opera finalista del premio “Operae” a The others art fair 2023)
Cargo Cult del 2019 (Opera realizzata durante una residenza d’artista alla Fondazione Bevilacqua la Masa)
Etere del 2020 (Opera realizzata per il progetto Opera 02 di Attiva Cultural)
La prima parte di questo lavoro si chiama Il peso della leggerezza ed è un’opera che si riferisce agli avvenimenti relativi alla guerra in Siria, in particolare all’utilizzo delle armi chimiche su civili, bambini e ospedali. La sensazione di impotenza che ho provato di fronte a questi fatti mi ha spinto a ragionare sul peso della leggerezza. L’opera è formata da un trittico di fotografie monocromatiche che rappresentano i tre tipi principali di gas usati in guerra: il gas Sarin che è incolore e l’ho rappresentato con il bianco, il gas Cloro tendente al verde e l’iprite detto anche gas mostarda per il suo colore appunto giallognolo. Ogni fotografia è associata ad un attacco avvenuto in un luogo diverso della Siria in tre diversi anni.
Gas Sarin, 4.04.2017, Khan Sheikhun, Siria.
Gas Cloro, 11.08.2016, Aleppo, Siria.
Gas Mostarda (Iprite), 21.08.2015, Marea, Siria.
La seconda opera si intitola Costellazione 15741 e si riferisce invece alla tragedia dei migranti.
E’ composta da 12 piccole immagini realizzate attraverso l’impressione di cristalli di sale su carta per cianotipia, che rappresentano una sorta di Atlante dei dispersi nel Mar Mediterraneo. L’utilizzo del cianotipo è significativo per il suo colore blu che subito rimanda al mare e l’impressione a contatto del sale traccia sulla carta una sorta di mappa dei dispersi.
I grani di sale che si intensificano verso il largo e si diradano a riva, rappresentano il residuo ovvero quello che resta di una tragedia sommersa e richiamano ad una sorta di svuotamento di coscienza.
Il risultato visivo è quello di un mare di costellazioni che rappresentano i 15741 corpi senza nome dispersi nel Mediterraneo negli ultimi 4 anni, tutto intorno il blu dell’acqua che ci porta in profondtà verso il luogo dove tutto tace.
Mediterraneo 34°33’11’’N 18°02’52’’E
2018 – 411 morti o dispersi
2017 – 3119 morti o dispersi
2016 – 5143 morti o dispersi
2015 – 3785 morti o dispersi
2014 – 3283 morti o dispersi
Fonte IOM – Missing Migrants, dati aggiornati a Marzo 2018
L’opera Cargo Cult è frutto di una riflessione sul destino di Venezia. Il titolo si riferisce al culto apparso in alcune società tribali melanesiane per cui gli indigeni veneravano le navi occidentali che portavano beni di consumo, come fossero inviate da divinità. Il culto oggi è svanito, ma il termine è rimasto in uso per indicare l’imitazione estetica di qualcosa senza comprenderne il significato. La fotografia, che si interroga sull’intangibilità di un’immagine alternativa di Venezia, raffigura uno scorcio dell’ampliamento del cimitero di San Michele realizzato dall’architetto inglese Chipperfield, proponendo non un’immagine della città ma della sua morte. Le geometrie lineari e anonime costituite da linee regolari di loculi richiamano visivamente il passaggio di una grande nave turistica, aprendo anche ad una riflessione sul futuro di questa città, sul senso d’irraggiungibilità che Venezia comunica e sul timore che, sotto la sua scorza, possa non esserci più nulla a cui arrivare.
L’opera Etere, realizzata durante il primo lockdown, è un’immagine creata a contatto con lo scanner utilizzando l’elemento che ultimamente ha più influenzato le nostre vite: la saliva.
In quarantena la geografia ha smesso di avere senso, è inutile misurare la distanza che ci separa dagli altri perché l’unico luogo dove possiamo incontrarci è un luogo che non esiste fisicamente.
Attraverso il contatto con il display la saliva diventa altro: una sorta di mappa cosmologica, di galassia che contiene universi. La saliva simboleggia la quintessenza di questa pandemia, è il mezzo attraverso cui il virus si propaga e il motivo per cui quindi non ci è consentito incontrarci; in questa opera diventa anche rappresentazione dell’etere come lo spazio che ci ha unito pur tenendoci a distanza, luogo inesistente e allo stesso tempo sostanza tenue e imponderabile, presente in ogni parte dell’universo, che riempie lo spazio e si propaga.
L’opera è stata realizzata per Ŏpĕra 02, un magazine, un libro d’artista e un work in progress per una progettazione site specific a cura di Martina Campese. Ŏpĕra nasce dalla volontà di ATTIVA Cultural Projects ETS di fare scouting, di approfondire e rendere visibile la ricerca artistica italiana emergente. Ogni numero presenta sei opere inedite di sei artisti selezionati, corredate da altrettanti testi critici, al fine di creare un’opera/progetto inedito cartaceo.É una rivista d’artista in edizione limitata di 100 copie con 3 uscite annuali con cadenza quadrimestrale.